Una mano sulla spalla, mi scrolla sempre più violentemente. «Mencarelli, ’nnamo ’n po’.» È l’infermiere, sta tentando di svegliarmi. «Daje, so’ le undici passate, tra ’n quarto d’ora te deve vede’ er medico.» Mi prende per le spalle e mi tira su. «Buongiorno principino, te sei fatto ’na bella dormita. E te credo, co’ quello che t’hanno sparato ’n vena, ce la fai a dimme come te chiami? Provece ’n po’?» Ho la bocca secca. La testa rimbomba. «Daniele. Daniele Mencarelli.» L’infermiere si cimenta in una specie di sorriso. Avrà una cinquantina d’anni, forse qualcosa in più, il viso segnato profondamente dall’acne degli anni che furono. «E bravo Daniele. Io so’ Pino invece, e Pino ama mette subbito le cose in chiaro: se tu stai bòno io so’ bòno, se tu fai er matto cattivo io divento più cattivo de te, chiaro? E credeme, i sani sanno esse più cattivi dei matti, capito?» La faccia di Pino si è indurita, mi sforzo di rispondere, malgrado l’intorpidimento generale: «Ho capito.» «Altra cosa fondamentale, è vietato anda’ in giro, tu puoi sta’ qui o nella saletta della televisione che sta affianco. Mai e poi mai anda’ nelle stanze che stanno dopo la saletta della televisione. Lì dentro non so’ come voi, ce stanno quelli cattivi, chiaro?» «Chiaro.» «Bravo Daniele, mó svejate pe’ bene, tra poco te chiama er dottore, questo è tè, daje quarche sorso.» Mi passa una tazza tiepida, poi se ne va. Riprendere possesso del corpo vuol dire sentire, uno a uno, una quantità di dolori sparsi, dietro la schiena, il collo, ma è la mano sinistra quella più segnata. È coperta da un grosso cerotto, all’altezza delle nocche c’è del sangue rappreso. Dalla mano alla mente il passo è breve: sui muri, addosso ai mobili, contro lo schermo del televisore fino a farlo esplodere. Eccoli i segni. Infine, enorme come il cielo, rivedo mio padre come cosa morta a terra, grazie al mio spettacolo.
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