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Il ladro



Quel piccolo uomo vestito di bianco col fare un po’ trasandato era venuto da un paese lontano, oltre il mare, un paese che si dice molto ricco. Ma di questa ricchezza a questo piccolo uomo non era rimasta che una camicia bianca e la cravatta annodata male che copriva il colletto sporco.

Era arrivato una mattina con la corriera, nascosto in mezzo ai vecchi che ritornavano dal mercato, come un ladro, senza salutare, guardandosi in giro con aria sospettosa. Quelle facce come zolle bruciate dal sole lo guardavano, lo scrutavano come fosse una bestia rara. Una bestia forse lo era, di quelle che vivono in mezzo a un deserto e aspettano la preda.

Era andato subito all’unico albergo per cercare una camera, per sfuggire da quegli sguardi ostili che lo avevano trafitto come lame ardenti. Aveva trovato la camera accogliente e fresca in quel torrido sole estivo. Non era bella a confronto del suo comodo appartamento di un tempo, ma quell’aria di tranquillità, di difesa dagli sguardi della gente seduta in piazza lo confortava e lo rendeva felice.

Era la prima volta che si sentiva felice da quando aveva lasciato la famiglia, o meglio da quando sua moglie era scappata.

La finestra dava su un cortile deserto animato solo da qualche bambino che giocava ruzzolandosi nel fango della fontana. Era bello guardare la montagna attraverso la luce del sole, faceva male agli occhi quell’intenso raggio di luce che costringeva a socchiudere le palpebre, ma quel leggero fastidio gli era di immenso piacere.

Calmo, finalmente tranquillo, aprì le sue valigie, dispose con cura i vestiti nell’armadio. Si fece la barba guardandosi nello specchio con fare un po’ sospettoso. Il suo viso era solcato da una ruga profonda, uno scoglio che spaccava l’onda schiumosa del mare, ricordo delle battaglie perse. Non era ancora così vecchio e nemmeno poi tanto brutto da non potersi trovare una donna e farsi una famiglia.

Con quel pensiero fisso nella mente scese e si avviò per le stradine del paese guardandosi attorno per poter capire cosa c’era dietro quei visi scuri che poco prima lo avevano così brutalmente ferito. Si accorse per la prima volta delle case vecchie, fatte di pietra, troppo piccole per poterci abitare. Quell’odore di fieno, di vino, di roba da mangiare, i bambini che giocavano a palla avvelenata contro il muro odoroso di edera, davano la sensazione che questa gente fosse davvero felice.

La piccola chiesa in mezzo al paese sapeva di un buon odore di incenso e di vino che proveniva dalla vicina osteria. Il paese che poco prima gli sembrava deserto, come una cattedrale dopo la messa, era tutto lì in quell’osteria, dove quei vecchi sembravano fanciulli pieni di gioia. I loro pugni alzati, battenti sopra le tavole esprimevano la loro rabbia, il loro odio di uomini calpestati, ma anche la loro vitalità.

Entrare in quel buco voleva dire respirare odore di cicche e di vino, di bestemmie e di urli in un piacevole marasma di vita. Il giovane cittadino non era abituato al frastuono di quegli sporchi vecchi che con villaneria impressionante sputavano per terra e sboccavano il vino con un colpo secco rivolto al pavimento.

No, non avevano di certo la sua educazione, ma stranamente qualcosa non andava, non riusciva a distaccarsi da loro provando come sempre la sua superiorità. Sentiva dentro, non una repulsione, ma contro ogni logica una rabbia per non sentirsi come loro. Gli era di nuovo successo di sentirsi estraniato, colpevole di una colpa mai commessa. Lui professore di liceo discepolo di questa gente ignorante. Ma ancora più sorprendentemente non si sentiva abbattuto, anzi era felice se non fosse stato per quel fitto dolore di rabbia che dal suo arrivo non lo aveva più abbandonato.

Non si era ancora ripreso dai suoi pensieri quando gli si presentò una figura di donna, meravigliosamente bella, che con un sorriso gli disse: “ Benvenuto professore, lo aspettavamo già, sapevamo che non sarebbe potuto mancare, qui si passa la maggior parte della giornata, ma via avrà visto tutto da sé. Cosa prende, va bene un mezzo?”

Quelle parole così marcate, ma soprattutto quella voce che si rivolgeva a lui senza paura, quasi provocandolo, lo aveva colpito non poco. Il suo sorriso di donna non più bambina, segnata da rughe la rendeva forse più vecchia.

Dalla sua finestra aveva visto poco prima le montagne brulle, martoriate dai raggi implacabili del sole, era bastato un attimo per capire come dentro a quelle montagne, a quel corpo fin troppo simile, dovesse battere il sangue gorgogliante della vita.

“ Si certo, va benissimo il mezzo” rispose senza guardarla, rosso in viso come un peperone maturo. Lei ritornò poco dopo con la bottiglia e il bicchiere, lo appoggiò sgarbatamente sul tavolo e se ne andò senza rivolgergli la parola.

Era rimasto disorientato dal suo fare burrascoso contrapposto ai suoi occhi dolci, dal suo viso segnato, dalla sua bocca e dalle sue mani di fanciulla. Bevve in fretta e pagò.

Ritornò in albergo, si sdraiò sul letto stanco del lungo viaggio addormentandosi quasi subito. Si svegliò con la luce del sole che filtrava dalle finestre che era già mattino. La gente era tutta in piazza, era giorno di mercato. Voci, urla a testimonianza della propria esistenza.

Scese trasportato da un folle desiderio di urlare, di conoscere, di dire che anche lui esisteva. Era felice dei suoni che colpivano violentemente i suoi timpani, era felice degli spintoni che lo facevano traballare.

Stava ancora godendo della sua scoperta quando qualcuno gli si avvicinò. “ Professore anche lei a fare la spesa”. Si voltò impaurito, nessuno lo conosceva, fu un attimo, subito riconobbe la donna dell’osteria. La sua persona gli dava fastidio per il suo modo di intromettersi nei pensieri, per la sua spavalderia, per il suo essere donna.

Senza rispondere si ritrovò a passeggiare con lei per una strada che portava in montagna. Lei cominciò a parlare dei suoi studi interrotti in città, di suo padre che la picchiava ancora se ritornava tardi a casa. Migliaia di parole gli colavano addosso prepotentemente, disarcionando qualsiasi tipo di pensiero.

Quasi per non farla parlare la prese per i capelli e la sbatté per terra, come per vederla disintegrarsi, diventare terra anch’essa.

Quante volte da ragazzo aveva corso nei campi per buttarsi nella terra appena arata. Nello sguardo di lei pieno di odio rivide la bestemmia del contadino per il suo duro lavoro, lo sputo per terra per sciacquarsi la gola, la gioia di un temporale settembrino che bagna il corpo, la corsa a casa a scaldarsi accanto alla stufa.

Fu un attimo, il suo sperma scivolò nella pancia, si mise a ridere, quante volte da ragazzo era andato a masturbarsi nei campi aspettando che dal ventre della terra germogliasse una piccola pianta. Si riallacciò i pantaloni, lei si diede una toccatina ai capelli sfatti, si ripulì della terra, gli si appiccicò al fianco e scesero in paese. Sembrava una ragazzina che aveva appena mangiato un gelato, anche se stasera era diventata donna.

I giorni passarono in una monotonia incredibile, il libro che aveva iniziato non andava più avanti, ma quel che era peggio era quel continuo mal di testa che da quello stupido giorno non lo aveva più abbandonato.

Il paese, la gente gli era sempre più distante, il caldo opprimente che faceva deserta la piazza gli dava un’angoscia tremenda, le frequenti gite in montagna lo infastidivano sempre più. Come si poteva apprezzare il silenzio, la frescura, le ombre quando le parole ti colavano addosso senza poterle fermare.

Quando si accendeva la pipa lei gli si buttava addosso strofinandogli le sue tette come una cagna in calore, e la pipa inevitabilmente cadeva e si spegneva. Stava diventando davvero insopportabile. Ma quando lo sperma si riversava su di lei ritornava il silenzio e la pace. Apprezzava quei momenti come quando un contadino stanco del lavoro si refrigera con una bottiglia di vino tenuta in fresco nella bialera. Si continuò in questo modo per almeno un mese, ma una sera lei arrivò più eccitata e bambina del solito.

“ Devo darti un regalo” “ Vediamolo” le disse senza darle molto peso. “ Non adesso, andiamo in montagna” rispose lei. Quell’ennesima novità lo turbò, la serata era iniziata male.

Appena lasciato il paese si sedettero al bordo del sentiero. “ Cos’è questa novità?” le disse togliendosi subito il rospo che aveva in gola. “ Aspetto un bambino, il tuo bambino” gli rispose.

La guardò con la faccia scura e piena d’odio, era incastrato. “ Non se ne parla nemmeno, domani parto per il mare e tu devi abortire”.

La sua faccia di bambina d’un colpo si trasformò in quella di donna, i suoi occhi luccicarono, si alzò di scatto e corse via. Rimase sbigottito da quel comportamento, forse era andata meglio del previsto. Ridiscese in albergo, preparò le sue cose, saldò il conto e come un ladro prese la prima corriera.

Un mezzo sorriso si stampò sulla sua faccia, a mezzogiorno avrebbe fatto il bagno in mare e si sarebbe scrollato di dosso la terra di questo insignificante paese.

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