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Immagine del redattoreMauro Bramardi

Mimmo Lucano ha le mani sporche di vita



“Le sentenze non si commentano”, dicono gli osservatori a distanza, quelli che stanno sugli spalti, quelli che si fermano alla buccia, quelli con le mani pulite perché il servo li ossequia con la lingua e con il disinfettante.

“Le sentenze non si commentano”, dicono gli interessati all’orto proprio, con la stessa enfasi di una scritta sull’autobus: “non si parla al conducente”.

“Le sentenze non si commentano”, commentano i cattivissimi maestri con il ditino puntato mentre con l’altra mano si mangiano il porco e trafficano i suoi zoccoli.



Se entri nella carne delle questioni, se della vita ti interessi non solo come speaker, o come fanno con i pozzi gli avvelenatori; se la vita non ti interessa solo per abbronzarti, se le storie che hai visto ti hanno cambiato, se quelle storie soprattutto sai che hanno cambiato le persone che le hanno vissute, allora le sentenze le puoi commentare eccome. Soprattutto non ne puoi fare a meno, di urlarlo, di scrivere un articolo, di provare a vivere per un millesimo come quelle storie ti hanno insegnato. E’ questo che prova chi oggi sente di aver cercato ad amare come Domenico Lucano gli ha insegnato.


E allora lo dico chiaramente: la sentenza di condanna a Domenico Lucano a 13 anni e 2 mesi, è qualcosa di ributtante. Provoca un sorpasso della bile sulle parole, ed è difficile trattenerle e scegliere quelle giuste.


Domenico Lucano, che non si è mai preso un euro, non si è mai arricchito, è stato condannato per aver troppo amato.

Amato il suo lavoro, amato la sua gente e anche quella che veniva dall’altra parte del mare, che in fondo era sua anche quella gente lì, come noi siamo anche un po’ loro. Niente ci appartiene, se non le relazioni che riusciamo a creare, e Mimmo Lucano di relazioni aveva creato un modello, quello di Riace.

Funzionava troppo il modello Riace, in un Paese dove i voti si prendono agitando il cappio contro i poveracci, chiudendo i porti e cavalcando una ruspa. Dovevano pur farlo saltare, quel modello, e ci sono riusciti.

Al G8 di Genova uccisero un ragazzo, e torturarono una generazione, per fermare il più grande Movimento della Storia che non chiedeva niente per sé, ma tutto per gli altri.

Oggi il giudice Fulvio Accurso ha raddoppiato la pena richiesta dal pubblico ministero per Domenico Lucano, condannando Mimmo a una pena spaventosa, abnorme, assurda.


Condannato per “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”, dopo aver semplicemente favorito l’umanità.

Condannato per “illeciti in relazione ai progetti di accoglienza agli immigrati”. Direi ovviamente, perché alla presenza di leggi ingiuste, qualche illecita forzatura è d’obbligo, altrimenti fai il carceriere delle speranze e sei ben pagato, ma quella non è accoglienza. E chi ben accoglie, lo sa.



Il Diritto dell’Uomo è più importante di qualche riga scritta da uomini che non sono mai stati torturati in Libia, davanti ai parenti più stretti, o che in mezzo al mare hanno dovuto scegliere quale figlio salvare.


Noi sappiamo che tutti i figli sono uguali, ma a chi ha le mani sporche di vita, vogliamo ancora più bene.


Forza Mimmo. Forza.


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